Situazione pre apocalittica in un pianeta malato e senza cure

Situazione pre apocalittica in un pianeta malato e senza cure

 SITUAZIONE PRE APOCALITTICA IN UN PIANETA MALATO E…SENZA SPECIFICHE CURE 

di Salvo Neri

Drammatici sempre più gli eventi che si rincorrono anno dopo anno: dagli incendi in Siberia allo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, ai continui incendi in Sicilia, in ogni parte del mondo, i sempre più continui uragani hanno evidenziato l’accelerata degli effetti dei cambiamenti climatici innescati dalle attività umane. In questa situazione pre-apocalittica (e ricordiamo che il termine “Apocalisse” non vuol dire “fine del mondo”, ma significa “svelamento, levare il velo”) si possono anche osservare alcuni comportamenti molto interessanti sulla natura umana, che probabilmente in situazioni ordinarie non emergerebbero.

Una di queste evidenziata proprio dal non volere pervicacemente “invertire la rotta”

Nonostante i mille segnali ricevuti, è una sorta di rifiuto o, meglio, di fuga, dalla nostra incarnazione materiale, da un legame filogenetico che ci perseguita e connette con tutte le altre creature non umane. Di fronte a tale disastro, di cui non si vede la fine e, anzi, si possono facilmente intuire e leggere prossimi peggioramenti, una parte sempre più estesa dell’opinione pubblica comincia a reagire, almeno a livello di preoccupata presa di coscienza.

Nei commenti sui social sul nostro blog molto attento alla salute del Pianeta

E nelle lettere ai giornali e mass-media, che purtroppo in molti casi stanno affrontando questi argomenti con il consueto tono apocalittico, scandalistico, superficiale, si notano spesso definizioni del tipo: “Siamo una specie folle, ci meritiamo di estinguerci”; “Siamo i parassiti del Pianeta”; “L’Umanità è solo un’accozzaglia di predoni egoisti”; “Siamo pazzi e ciechi e ormai stiamo cadendo nel baratro”, ecc. Un misto, dunque, di lamentose e disperate affermazioni, dove emerge la mancanza di speranza per il futuro e la rabbia per la stupidità umana. Ma è davvero così? Può una specie che, in poco più di 200mila anni è di fatto arrivata a dominare l’intero Pianeta, pur avendo una capacità riproduttiva limitata, dei corpi delicatissimi e molta meno forza fisica rispetto alle altre specie più simili a noi (ovvero le grandi scimmie), avere intrapreso una strada evolutiva destinata “al vicolo cieco”, ovvero all’estinzione, puntando sull’intero consumo delle risorse vitali e alla distruzione dell’habitat in cui vive?

Perché allora questa follia da dove nasce, che senso ha?

In ultima analisi: perché l’Uomo continua imperterrito a distruggere la Natura (ovvero la famosa “casa comune” in cui abita) nonostante almeno mezzo secolo di avvisi e allarmi sempre più stringenti lanciati dalla comunità scientifica e nonostante i disastri più o meno naturali (molti palesemente di origine antropica) che sempre più spesso mietono migliaia di vittime? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe scrivere un’intera enciclopedia, tante sono le probabili concause che, in modo più o meno complesso, s’intrecciano tra loro: cause sia sociopolitiche, storiche ed economiche, sia psicologiche, biologiche ed ecologiche.

Oggi è facile dire che almeno in Occidente la maggior parte degli uomini NON ama la Natura

Per millenni l’Uomo nomade cacciatore-raccoglitore ha vissuto la Natura con l’amore istintivo che avvolge un essere la cui vita dipende da essa, con un misto di paura e attrazione, sapendo appunto che dalla Natura poteva arrivare anche la morte. Ma sempre con il rispetto e con l’equilibrio di chi sa anche che della Natura ha bisogno e che essa è sempre più grande di lui. Dalla Natura gli uomini prelevavano solo quanto gli serviva per la sopravvivenza, ovvero “gli interessi”, lasciando intatto “il capitale”.

Poi circa 10.000 anni fa

Con la nascita e lo sviluppo dell’agricoltura, il panorama è cominciato a cambiare. L’Uomo si è fermato in un posto e, per sopravvivere, ha dovuto iniziare a sfruttarlo, con i vari processi di coltivazione del suolo e di domesticazione di piante e animali e con metodi sempre più raffinati e intensivi. Ovvero, ha iniziato a intaccare il capitale. Fino a quando ciò avveniva con metodi tradizionali e solo con la forza di uomini e bestie, attraverso il lavoro di comunità umane costituite al massimo, nel complesso, da milioni di individui, la Terra ha ben sopportato tale pressione.

Eventi tragici – Pandemie – Carestie e Guerre

Inoltre, la presenza di eventi tragici come pandemie, carestie e guerre effettuava un certo controllo sulla popolazione antropica. Con la cosiddetta Rivoluzione Industriale iniziata in Occidente nel XVII secolo, si è però accesa la miccia: la società umana da sistema agricolo–artigianale–commerciale è diventata un sistema industriale moderno, caratterizzato dall’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall’utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate (come, per esempio, i combustibili fossili), il tutto favorito da una forte componente di innovazione tecnologica e accompagnato da fenomeni di sviluppo demografico, sviluppo economico e da profonde modificazioni socio-culturali e anche politiche. E soprattutto di incremento di popolazione, che rapidamente è passata da 1 miliardo di individui nel 1800, ai circa 7,5 miliardi di oggi, con un aumento medio annuo di circa 75 milioni.

In pratica gli esseri umani si sono quadruplicati nell’arco degli ultimi 100 anni
Dopo essere rimasti per millenni limitati a pochi milioni di persone (all’epoca della nascita di Cristo si stima vivessero sul Pianeta circa 160 milioni di individui). Ciò non solo ha aumentato in pochissimo tempo e a dismisura la richiesta, e quindi lo sfruttamento, di risorse naturali, oltre che la conseguente produzione di scorie di ogni genere quasi mai realmente smaltibili, ma, attraverso il fenomeno dell’inurbamento, ha sempre di più allontanato gli uomini dalla Natura.

Una vera sindrome di disconnessione con la Natura

A seguito di ciò, non solo una parte significativa degli esseri umani non conosce più il mondo naturale (per esempio non sa distinguere le varie specie animali e vegetali) ma, soprattutto negli ultimi decenni, si è creata una vera e propria sindrome di disconnessione con la Natura. come scrivono vari filosofi e psicologi, per cui alla fine sempre meno si sente il bisogno di una sua vicinanza, di un suo rapporto profondo e vero con essa. In pratica oggi per molte persone la Natura vale solo perché serve innescando un processo a cascata di impoverimento interiore che porta all’ignoranza cognitiva e culturale, alla perdita di identità, all’inaridimento emotivo, ma soprattutto all’incapacità di essere in risonanza con il mondo che ci circonda che, volenti o nolenti, è ancora in massima parte naturale (per quanto rovinato e contaminato). In parole brevi “essere vivi significa adattarsi senza sparire completamente, essere protetti dalla propria sintonia ma non fino al punto di dissolversi del tutto”.

Senza più contatto e sintonia con la Natura

Perdiamo quindi la capacità di adattarci ai suoi mutamenti, tanto più a quelli repentini degli ultimi anni e di quelli che ci attendono. E l’adattamento di una specie è un processo biologico, oltre che culturale, che richiede tempo e che può essere solo in parte (minima?) compensato o contenuto dalla tecnologia. Perchè non provarci? Perché questo insistente menefreghismo? Perchè questo **odio** verso la natura? Eppure, cambiare si può. Anzi si deve.

(articolo di un cittadino che riceviamo e pubblichiamo)


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direttore fondatore del blog Giuseppe Castelli

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