Una vita in divisa “Aggrapparsi alla vita” di Gennaro Nablo

Una vita in divisa "Aggrapparsi alla vita" di Gennaro Nablo
Una vita in divisa "Aggrapparsi alla vita" di Gennaro Nablo
moto stradale anni 60

Raccontata come leggenda ma trattasi di un fatto realmente accaduto

Aggrapparsi alla vita! (Raccontata come leggenda ma trattasi di un fatto realmente accaduto) Correva l’anno 1964 e la Guardia di Pubblica Sicurezza C.C. (ora prossimo ai 90 anni), percorreva la SS19 meglio nota come Statale delle Calabrie (Basilicata) a bordo della sua Moto Guzzi Falcone rossa detta anche “affetta prosciutti” (per portare al suo fianco una ruota simile a quella delle affettatrici “berkel”), insieme al suo abituale gregario, l’Agente di Pubblica Sicurezza A.R., quando si spezzo la catena e C.C. venne sbalzato violentemente a diversi passi del motoveicolo. Batté la testa e a nulla valse il casco regolamentare noto come “scodella” (copriva solo una parte del cranio).

C.C. perse conoscenza e perse anche un po’ di materia celebrale. Soccorso da A.R., lo sventurato venne trasportato con un’auto di passaggio (a quei tempi non si trovavano facilmente telefoni pubblici e i cellulari erano una invenzione appartenente alla fantascienza di là da venire) e fu trasportato all’Ospedale più vicino, quello di Maratea (sarebbe giusto dire nell’unico Ospedale della provincia).

I Sanitari fecero il possibile per salvarlo ma poi si arresero all’evidenza e lo inviarono alla Camera Mortuaria della struttura.

Fu così che il giovane sfortunato fu adagiato su un freddo marmo, l’ultimo suo giaciglio. Intanto venne informato del trapasso, l’amico-collega il quale, in composta afflizione, era in attesa all’esterno della sala operatoria. A.R., decise di portare l’estremo saluto al collega di mille avventure. Provvidenziale fu la decisione poiché dopo qualche istante che si era raccolto in preghiera davanti al corpo, si accorse che il “morto” rantolava flebilmente.

Corse subito all’accettazione e diede l’allarme. “Presto, fate presto, il mio collega non è morto, dovete salvarlo”. Fu così caricato in autoambulanza e trasportato, a sirene spiegate, all’Ospedale Cardarelli di Napoli. Dopo qualche anno, C.C. si riprese e tornò in servizio. Il Ministero, però, sapendo che gli era stata impiantata una placca d’argento a parziale copertura della calotta cranica, pensò di premiarlo trasferendolo ad un’altra Amministrazione dello Stato. C.C. fu categorico, neanche a parlarne.

Mi sono arruolato in Polizia e niente e nessuno potrà obbligarmi a lasciare il mio lavoro.

Fu così che tornò in servizio, sempre sulla moto, sempre in prima fila. P.S. I parenti raccontano di una vecchiaia tormentata. A volte si sveglia e si mette in divisa per andare in Ufficio. Altre volte, quando vede in TV incidenti a catena sulle autostrade, fosse anche su un tratto del nord, corre all’armadio, indossa la divisa e si mette in attesa accanto al telefono; dice: “E’ un groviglio pazzesco, ci sono anche dei morti, i colleghi hanno bisogno di me.

Bisogna impedire che altri automobilisti muoiono (Gennaro  Nablo) 

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