Gennaro Nablo: Una vita in divisa “Tre sbirri e una carogna”

Gennaro Nablo: Una vita in divisa "Tre sbirri e una carogna"

Gennaro Nablo: Una vita in divisa "Tre sbirri e una carogna"

Gennaro Nablo: Una vita in divisa “Tre sbirri e una carogna”

 di Gennaro Nablo

Questa storia, realmente accaduta qualche decennio fa, è ambientata nella città di Prato dove imperversava una agguerrita quanto spocchiosa delinquenza fronteggiata da divise con le “palle”. Due di questi erano i fratelli Capece, Campani, Pasquale il Maggiore e Tonino il minore, quest’ultimo ultimamente blasonato con il titolo di “barone”.

Erano temuti dai delinquenti e osannati dalla maggioranza dei colleghi (ovviamente l’invidia, che conferma la regola, crea sempre qualche antipatia, che poi si trasforma, a volte, in odio. Ma questa è un’altra storia e magari ve la racconto un’altra volta). Dunque, volendo tornare alla storia principale, vi racconto che nella stessa città venne assegnato un Poliziotto di nuova nomina, dai fratelli conosciuto come “ò scugnizziello” (il piccolo scugnizzo).

Il giovane aveva fatto di tutto per essere assegnato al loro stesso ufficio perché fin da piccolo, nel paesello di nascita, ne ammirava la sicurezza nel fronteggiare i prepotenti e aveva l’intimo desiderio di emularne le gesta. Un giorno, un brutto giorno, Alfonsino “o’ scugnizziello”, libero dal servizio, ebbe la sfortuna di imbattersi, all’interno di un bar cittadino, in un noto delinquente che aveva avuto modo di trattare nella sua breve carriera. Il delinquente, con tono beffardo e per dimostrare agli avventori che non temeva il giovane, pretendeva che questi sorbisse un caffè in sua compagnia.

La risposta di Alfonsino, diciamo la verità, fu un po’ timorosa ma comunque ferma.  “No grazie, sono entrato per pisciare. Il caffè, comunque, me lo prendo e me lo pago da me”. All’uscita della toilette, il nostro dovette subire pazientemente l’assedio dello scellerato che invero era leggermente ma inopinatamente avvinazzato. Qualche battuta a tono e “o’ scugnizziello” lasciò il locale avviandosi per la sua strada. Poche ore dall’episodio e Alfonsino venne raggiunto da una Volante, la quale lo invitò a salire a bordo per accompagnarlo in Ufficio.

Quivi, un Funzionario (che, sarcasticamente gli voleva molto bene) gli chiese conto di un orologio di una determinata marca e di un determinato modello, che tutti, nel bar, avevano visto in possesso del “balordo” avvinazzato e che, era asseritamente sparito non appena si era allontanato dal bar. Il delinquente era deciso a sollevare uno scandalo se di lì a qualche ora il suo orologio non gli fosse stato restituito. Mettetevi nei panni “r’ò puveriello” (del poveretto) si era sentito cascare il mondo addosso.

La vergogna più cocente stava nel fatto che il Funzionario, invece di proteggerlo, aveva creduto al balordo e sospettando della sua innocenza, lo aveva ammonito: “Questo è uno scandalo, se non si mette a tacere questa vergogna puoi stare sicuro che domani mattina né parlo al Dirigente e ti faccio sospendere”. Alfonsino con il cuore infranto andò dal collega Pasquale sperando che almeno questi gli credesse sulla parola.

Lui, si ricordava è vero di questo orologio ma poteva giurare di non averlo preso. Il collega imperturbabile dopo essersi fatto descrivere “chistu strunz” (questo stronzo), con pacatezza apostrofò il suo pupillo: “Vattenne a casa e nun ce pensà, vir ca pe domani, a mente fresca, tutt’è cos vann a post” (vai a casa e non pensarci, vedrai che domani, tutto andrà a posto)    

II PARTE 

Con un senso di peso misto ad indignazione per aver visto il collega in uno stato pietoso, Pasquale Capece affrontò subito dopo, il Funzionario: “Dtto (dottore) ma è over ca volete chiedere la sospensione di Alfonsino? E con quale accusa? Ma sit (siete) sicuro?” “Certo che sono sicuro, anche se il tuo collega non è stato formalmente accusato tutti gli indizi di colpevolezza cadono su di lui. E poi, un provvedimento disciplinare va comunque preso.

Lui ha inopinatamente infranto il nostro regolamento che fa divieto ad un appartenente alla Polizia di Stato di frequentare luoghi malfamati. E qui tutti sappiamo che quel bar è frequentato da delinquenti.” “Egregio dottore, probabilmente vui (nella classica cadenza partenopea il lei viene sostituito dal voi – plurale maiestatis n.d.r.) tenite da fare ancora molta strada. Tenite ancora le “felle di salame” n’gopp a luocchie (avete ancora le fette di salame sugli occhi)… avit (dovete) ancora capì come si fa a fare il poliziotto.

Il collega è ancora inesperto ma state sicuro che imparerà. Al contrario voi avete già raggiunto la consapevolezza … che comandare e meglio ro fottere. Da oggi, suggerirò a tutti i colleghi del Commissariato che in caso di necessità, non bisogna entrare in un esercizio pubblico ma, semplicemente, per poter pisciare, passare se è del caso, da casa vostra”. 

Detto ciò, il burbero Pasquale, visibilmente incazzato, si mise alla ricerca del malvivente, che a puro titolo d’ opportunità, chiameremo per il futuro “Genny a carogna”. Capece conosceva molto bene “a carogna”, sapeva in primis che era privo di etica morale, tanto che aveva rifiutato in passato perfino di considerarlo un “confidente” attendibile … Stante la notoria disistima che anche i delinquenti avevano per lui, era ovvio che non avrebbero mai parlato di malaffare, in sua presenza.

Era, infatti, considerato un infame e spione. Lo raggiunse nel giro di poco tempo in un altro bar cittadino … ancora più avvinazzato di quel che pensava.  ““Genny a carogna”, noi dobbiamo parlare”; “Io con gli sbirri non ho niente da spartire. Vai a farti fot …”. La frase fu interrotta da un potente manrovescio il cui spostamento d’aria esplose ancora prima di toccare la guancia. Appena in piedi “a carogna” stava per esclamare: “Ma che caz …” interrotta stavolta da uno schiaffone non meno potente del primo. Nel bar era sceso un silenzio glaciale. Tutti guardavano, nessuno fiatava.

Il barista intimorito guardava Capece supplicante sperando di commuoverlo a non infierire sugli arredi. E infatti Pasquale lo tranquillizzo facendogli un cenno con la testa. Sollevò per il bavero “a carogna” dal cui naso scendeva un rivolo di sangue misto a muco ed a pochi centimetri del suo volto, reprimendo il ribrezzo per il suo alito rancido, gli sussurrò: “Stammi a sentire, “omm’e merd” (uomo di merda). Non me ne fotte niente se devo andare in carcere ma se credi di prendermi per il culo io sono disposto pure a renderti la faccia una maschera di sangue.

Pensaci buono a quello che dici e pensaci due volte perché le mani ancora mi prudono. Raccontami nuovamente la storiella che hai raccontato al dottore in ufficio”. “No, no, stai calmo, non è successo niente, è stato tutto uno scherzo, io non volevo accusare nessuno, tu mi conosci, io rispetto la Polizia. L’alcol mi è andato alla testa e volevo anche io una volta tanto essere al centro dell’attenzione”. “E quel cazzo d’orologio che hai detto che ti è sparito, dove sta?”; “Eccolo, lo tengo qua” così dicendo estrasse dalla tasca un orologio Rolex modello Submarine. “Bene, per il momento l’orologio lo mantengo io, tu adesso fai una cosa, prenditi un caffè amaro doppio, vattene a casa e lavati la faccia.

Renditi presentabile e vieni al Commissariato dove io ti aspetto fuori. Te lo restituisco prima di entrare. Chiedi di parlare cu chillu strunz e dottore e digli che hai trovato l’orologio in bagno, sul lavandino dove ti eri lavato le mani”.  Questa storia è stata da me colorita per rendervi piacevole la lettura. È comunque straordinariamente vera. I nomi ovviamente sono inventati. I fratelli Capece in effetti esistono e sono entrambi presenti su FB (uno è in servizio e l’altro in pensione). “O’ scugnizziello”, invece, che ha accompagnato parte della mia vita in Polizia, è stato colui che ha inteso farmi partecipe della sua brutta avventura.

L’ho conosciuto anni fa a Milano. “Alfonsino”, nel frattempo, è diventato un ottimo Ispettore e da poco è andato felicemente in pensione. Ho avuto con il tempo il privilegio di conoscere pure i due fratelli Capece, uno più matto dell’altro ma vi assicuro, fateveli amici perché non si sa mai, nel bisogno sarebbero disposti a rischiare anche la galera per venirvi a salvare.  Stretta la foglia, larga la via … dite la vostra che ho detto la mia    

Giugno 2021

Anche Tonino, altrimenti conosciuto come “il barone”, è andato felicemente in pensione con il grado di Ispettore. Si “lecca le ferite” riportate principalmente in un conflitto a fuoco nella città di Verona nel corso   del quale, purtroppo, un uomo ci rimise la vita. Ha attraversato mille peripezie e ora può finalmente dire di aver raggiunto “la quiete dopo la tempesta”. Gennaro  Nablo   


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